Pasquale Cataldi, poeta improvvisatore gallipolino - copertina del libro

Pasquale Cataldi, poeta improvvisatore gallipolino

Autore: Federico Natali

Editore: Tipografia 5 Emme

Anno: 2009

Pagine:  135

Non c’è forse poeta a cui non sia capitato d’improvvisare, se non altro per giuoco, componimenti più o meno lunghi e riusciti; e sempre e dovunque sono esistiti scrittori dotati di singolare facoltà di composizione estemporanea. Ma l’improvvisazione per così dire, professionale, fatta fine a se stessa, è fenomeno italiano, che ha la sua massima fioritura nel Rinascimento e, con caratteri assai diversi, nel Settecento e nell’Ottocento.

Il nome di Pasquale Cataldi come Poeta estemporaneo si pronunzia con ammirazione nelle più popolose capitali d’Europa. Le visite da lui fatte alle stesse gli valsero segnalati trionfi. La sua memoria è consacrata con indelebili caratteri nel tempio dell’immortalità.

Wenceslao Ayguals de Izco
El Espanol”, Madrid, 24 Marzo 1867


Pasquale Cataldi, genio vero e fortunatamente compreso dappertutto, cosa che ai dì nostri non accade assai sovente, non curò mai di raccogliere le produzioni universalmente lodate della sua feconda fantasia di poeta e di artista, che anzi tutto egli distruggeva per tema che le reminiscenze di quanto il suo ingegno aveva già prodotto non lo avessero a pregiudicare nelle sue creazioni improvvise.
Eppure se le sue poesie si fossero raccolte in volumi sarebbero senza dubbio rimaste quali pregiati documenti d’italica letteratura.
Il nostro Cataldi nell’improvvisare si mostrava sempre originale, seguiva solo la fosforescenza del suo ingegno italo-greco e i lampi del genio. Nessuna reminiscenza di altro autore nei suoi carmi, niente artificio, niente simulazioni. La poesia gli sgorgava sempre spontanea dal labbro, quale che fosse l’argomento che gli si desse a cantare, quale che fosse il metro che egli scegliesse. Avea la nota eroticamente gentile come il Petrarca, filosoficamente elevata come il Dante, austeramente satirica come il Parini e l’Alfieri, e tutti ci ricordava i pregi dei celebri d’Italia, senza mai cadere nel plagio o nell’imitazione.


Emanuele Barba
Scrittori e Uomini insigni di Gallipoli, pp. 43-44

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